SI FA PRESTO A DIRE #IORESTOACASA. AMBIGUITÀ DI UN HASHTAG

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Se ci pensate, in questo periodo non esiste hashtag più ambiguo di #iorestoacasa. Non solo, ma, sempre se ci pensate bene, anche più triste: perché, chi una casa non ce l’ha, dove va ora? Non ci sono approdi sicuri per tutti, nelle acque agitate dei giorni del Coronavirus. E chi è fragile è sempre più fragile.

È il caso dei senzatetto o, come spesso li definiamo, liquidandoli, dei ‘barboni’. Di quegli invisibili che, troppo spesso, appunto, non vediamo perché si mimetizzano nelle grandi città dove viviamo e dove, insieme a tanta altra gente, corriamo al lavoro, per fare la spesa o andare al cinema e al ristorante. Ma adesso, nelle città deserte, nelle strade e nelle piazze ci sono solo loro, con le buste e i carrelli stipati di tutti i loro averi. In questi giorni gli invisibili si notano, e parecchio (oppure no, perché chi ha la fortuna di avercela, una casa, è tappato dentro e non esce).

Le persone senza fissa dimora esistono, e sono tante: in Italia il popolo dei senzatetto sono 50.000, anzi per essere precisi “l’indagine ISTAT 2015 – ci dice Cristina Avonto, Presidente fio.psd – Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora – 50.000 agganciati ai servizi e circa 5000 non agganciati, inoltre nel 2020 la cifra è sicuramente aumentata e non di poco”. In termini numerici, appunto, la più grande ‘community’ di senzatetto si trova a Milano poi abbiamo Roma, Genova, Torino; ma ci sono anche le città di medie dimensioni come Bologna e Firenze e poi città del sud quali Napoli e Palermo. “La situazione di queste persone – spiega Avonto – è disumana, non si sceglie spontaneamente di vivere per la strada, si è costretti da circostanze drammatiche: disagi familiari, dipendenze, violenze, condizioni di salute mentale. Questi uomini e donne che, come recita il titolo di un film, sono ‘senza pelle’, senza una minima protezione, attualmente stanno incontrando, a causa del Coronavirus, problemi ancora maggiori: la gran parte dei centri per l’accoglienza diurna e notturna e molte mense hanno chiuso perché non esistono le condizioni sanitarie per cui i volontari e gli operatori che vi prestano servizio possano lavorare in sicurezza. Non ci sono mascherine, guanti o anche solo disinfettante per le mani né per loro, né tantomeno per i senzatetto, quindi i pasti caldi non vengono più somministrati e al loro posto vengono distribuite buste con dentro panini che vengono mangiati in strada”.  Chiusi anche molti bagni pubblici che davano la possibilità di lavarsi, di cambiarsi e di usufruire dei servizi igienici. Inoltre, come se non bastasse, queste persone, dato che girano per le strade, ultimamente sono state multate dalla polizia che “anziché aiutarle, ha pensato bene di sanzionarle. Abbiamo scritto al Ministro degli Interni per protestare su questa vicenda: sta intervenendo l’Associazione degli avvocati di strada, con conseguenti aggravi amministrativi che, soprattutto in questo momento, non hanno senso….”. Lo ha raccontato a Open (www.open.online) Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di Strada Onlus, che ha riferito di essere a conoscenza di almeno 15 casi tra Roma, Milano, Verona, Siena e Modena: “Queste denunce vanno archiviate. È come se le chiedessi di spostare un masso di tre tonnellate, lei riuscirebbe?”.

Attualmente, il problema più grave è poi il rischio (non ancora verificatosi per fortuna) del diffondersi del Coronavirus tra gli homeless: non vengono fatti i tamponi e quindi non si sa chi sia positivo o meno al Covid-19 e, in caso di febbre, il 118 non se ne occupa. Quindi come possiamo curarli? “Non abbiamo neanche posti per isolarli in quarantena, non esistono nemmeno piccoli spazi all’aperto per permettere a questi soggetti – che di solito non sopportano di sentirsi chiusi fra quattro mura – di fumarsi una sigaretta o di prendere un caffè”. Passi avanti in questo senso ne sta facendo il Comune di Bologna, che è partito con un corso online fatto dalle ASL, che indica agli operatori dei centri di accoglienza precisi protocolli e procedure su cosa fare per un senzatetto in caso di Coronavirus.

Altra categoria che ha un disperato bisogno di stare a casa, come luogo di rassicurante normalità, sono i bambini: con problemi con disabilità o autistici o comunque disagiati: “Per loro CasaOz è un lampo di normalità che illumina la tempesta quotidiana”, spiega Enrica Baricco, presidente della onlus torinese che dal 2005 offre un sostegno concreto alle famiglie che assistono i propri bambini in ospedale, mettendo a disposizione spazi, educatori, attività ludiche e didattiche. “In questi giorni essere a casa per CasaOz vuol dire andare a trovare i ragazzi e interagire con loro: online, attraverso i nostri social, oppure tramite il telefono, tramite lo sportello di ascolto ovvero con i nostri operatori che, ogni giorno, telefonano alle famiglie anche solo per chiedere come stanno. L’obiettivo è unico: mantenere i contatti, rimanere vicini. CasaOz è un’impresa no-profit che, come altre realtà del terzo settore, sta vivendo una drammatica emergenza nell’emergenza. Il problema, non compreso spesso per mancanza di volontà, è che per definizione le imprese no-profit non vendono servizi e beni, quindi non guadagnano e non si possono reggere sulle loro gambe, ma il valore che restituiscono e che producono in termini di “ricchezza sociale” è enorme. Per le attività di queste strutture non è più sufficiente l’azione – indispensabile – dei volontari, ma servono professionisti specializzati. Il nostro Paese ha la fortuna di avere un’alta densità di fondazioni no-profit che sono vere e proprie imprese e che producono non beni economici, ma valori che impattano moltissimo sul tessuto sociale. “Un valore che in questi tempi complicati diventa ancora più prezioso. Paradossalmente queste settimane potrebbero rappresentare il momento giusto per riformulare e ripensare il pacchetto normativo esistente in materia”, propone Baricco.

“Se il virus non fa differenza di genere tra uomini e donne, la acuisce” ne è convinta Maura Cossutta, Presidente della Casa Internazionale delle Donne. “Fermo restando che forse il Covid-19 ‘offrirà’ l’opportunità di rendere visibile tutto il lavoro svolto dalle donne nell’accudimento di bambini e anziani e nello svolgimento dei lavori domestici, che in passato è sempre rimasto sommerso, l’#iorestoacasa comprende anche il tema della violenza sulle donne, perché il nemico spesso è fra le mura domestiche”. E se è normale che, anche nella coppia più affiatata, nella quotidianità reclusa tra gli spazi ridotti di cucina e tinello, saltino i nervi e sorgano discussioni, qui il tema si focalizza sull’aggravarsi di una situazione, quella dei femminicidi, che ormai è senza controllo:  secondo il Rapporto Eures 2019, in Italia una donna viene uccisa ogni tre giorni e l’85% dei crimini è commesso in ambito familiare.

“Proprio per permettere di avere un posto sicuro in cui ‘restare a casa’ – dice Cossutta – la cooperativa sociale Befree ha offerto ospitalità alle donne vittime di violenze presso strutture alberghiere di Roma. Ci preoccupano anche le emergenze per la salute sessuale e riproduttiva femminile, perché l’aborto viene attualmente considerato un intervento non di urgenza, per cui stanno tornando di attualità gli aborti clandestini, spesso causa di infezioni mortali. Le chiamate ai nostri centralini, dapprima diminuite perché si credeva che gli operatori non ci fossero, quando invece si è capito che i centralini erano ancora aperti 24 ore su 24, hanno registrato in queste settimane vere e propri picchi. Grazie ai finanziamenti, che sono stati inseriti nel DPCM Cura Italia, e riattivati, sono poi arrivate anche mascherine e guanti per i colloqui e gli incontri con i nostri operatori e consulenti”. Importante, anche per i Centri antiviolenza, è continuare a mantenere il contatto. Infatti, conclude Cossutta “Invitiamo le donne in difficoltà a chiamare il 15 22 per attivare percorsi di ricovero e di accoglienza, e a tutte di seguirci sul nostro canale YouTube per ascoltare letture di storie di donne ai tempi del Coronavirus”.

Si fa presto a dire #iorestoacasa.