Dalle utopie all’essere Federazione
di Paolo Pezzana
Presidente fio.PSD 2004-2013
Dieci anni non bastano per organizzare un’isola densamente popolata e farla funzionare al meglio, chiunque la abiti, quali che siano le sue condizioni di partenza. Una società si costruisce e si mantiene se prima si costruisce una cultura e intorno ad essa simboli di appartenenza e modalità di convivenza e creazione e riproduzione del valore coerenti. Possono volerci secoli. Chi pretende di riuscirci in meno tempo è mediamente un millantatore, che sta travestendo da rivoluzione compiuta un processo avviato e non ancora in grado di definirsi stabile, che prima o poi, se lo si vuol considerare già compiuto ed autosufficiente, finirà con il generare mostri e perire in se stesso a colpi di esclusione sociale e soppressione delle libertà.
Quando ho assunto la presidenza fio.PSD ero molto giovane, e, come oggi, convinto che il mondo possa essere cambiato e che io di tale cambiamento avrei potuto essere protagonista. Da operatore di contatto con le persone senza dimora, formato sulla strada e dalla strada, sapevo, pensavo di sapere, che non ci si possono fare soverchie illusioni sulla capacità effettiva delle persone senza dimora di autoorganizzarsi per agire politicamente come collettivo, al fine di ottenere cambiamenti concreti della propria condizione di marginalità per via istituzionale. Troppo distanti dalle istituzioni le persone di cui mi occupavo e troppo gravi le condizioni della loro sopravvivenza per aver energie a sufficienza da impiegare in lunghi processi di costruzione sociale che non fossero solo protesta e rivolta, anch’esse peraltro per loro spesso apparentemente troppo dispendiose, al punto da essere considerate, con rassegnazione, inutili.
Nacque così, nel trentenne che ero allora, l’idea, al confine dell’utopico, che Noi potessimo essere la rappresentanza che poteva interpretare quel desiderio di cambiamento, dare voce ai suoi segnali deboli, farsi latrice delle sue istanze politiche. Noi, gli operatori; Noi i servizi; Noi la fio.PSD, che allora era ancora FIOpsd, un acronimo pur sempre impronunciabile ove in maiuscolo veniva scritto l’essere Federazione, Italiana di Organismi. Da Presidente, bimbo a mia volta sperduto tra i bimbi sperduti miei simili, dei quali professionalmente ma forse ancor più emotivamente, mi ero messo alla ricerca, vagheggiavo nelle mie fantasie l’isola che non c’è, sulla quale instaurare finalmente le condizioni di umanità necessarie all’inclusione sociale degli emarginati. Nel frattempo l’isola che c’era intorno a me, chiamata società, evolveva restituendomi sempre più l’immagine e la concretezza di un gigantesco invisibile muro eretto in cima alle scale sulle quali conducevamo i nostri ospiti e amici, gradino dopo gradino, dalla strada alla prima, seconda, terza accoglienza e così via, verso l’autonomia. Accompagnavo ed accompagnavamo sempre più persone su per la scala verso il muro, e le vedevamo non andare quasi mai da alcuna parte. Trovavo e trovavamo progressivamente qualche riconoscimento a livello istituzionale, considerazione al Ministero ed in Europa, ma il muro rimaneva li. Ne eravamo tutti, più o meno esplicitamente consapevoli. Mi colpì molto, quando riscrivemmo lo Statuto per adeguarlo alle mutate normative ed esigenze, la ridefinizione grafica del logo, ove i soci decisero di scrivere fio.PSD e non FIO.psd.
Maiuscole diventavano le Persone Senza Dimora, non più noi, accompagnatori sempre più di lungo corso, a volte assai pretenziosi, verso il muro dell’inammissibilità sociale dell’emarginazione entro la società sempre più liquida degli inclusi. Giusta scelta. Ai miei occhi un piccolo e salutare choc che mi rivelava ciò che in realtà da tempo, forse da sempre, sentivo: Noi e Loro, accomunati, al di qua del muro, pur senza essere una comunità nel senso istituzionale del termine.
Era il 2009 quando, a Bruxelles, in occasione dell’anno europeo contro la povertà, i colleghi svedesi proposero su più tavoli di incentrare la campagna internazionale per la lotta alla povertà dell’anno successivo, proclamato dalla UE anno internazionale di lotta alla povertà, sul concetto e l’immaginario di una “Poverty Nation”. Su una immaginaria cartina geografica i designer svedesi avevano tracciato, al largo delle coste irlandesi, un’isola, una nazione più grande della Germania, con 75 milioni di abitanti, i poveri europei. Doveva servire a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle dimensioni e l’importanza che il fenomeno andava assumendo in Europa. La proposta fu bocciata: troppo concentrata sull’esclusione e foriera di promuoverne altra si disse. Fui d’accordo con tale valutazione, sostituita con un più militante “Zero Poverty”, ma dentro di me l’idea di questa gigantesca isola cominciò ad accompagnarmi in modo sempre più insistente. Come sarebbe stata un’isola dei poveri? Che patto di cittadinanza l’avrebbe retta? Come avrebbe prodotto, scambiato e riprodotto il valore? Che giustizia avrebbe immaginato, proposto, amministrato? Come avrebbe gestito la partecipazione e come l’esclusione? Avrebbe avuto carceri, manicomi, centri di identificazione per immigrati? Non ho ancora trovato risposte univoche e convincenti, anche se nel frattempo ho smesso di fare il Presidente della fio.PSD e da qualche tempo vesto i panni dell’educatore e dell’operatore sociale nell’inedita configurazione che fa temporaneamente di me un Sindaco eletto dai cittadini in uno dei tanti piccoli Comuni italiani.
Poche settimane fa, conducendo una formazione sulla povertà e le politiche sociali a giovani appena entrati in servizio civile presso una Caritas Diocesana, una ragazza ha reagito alle mie descrizioni di scenario sulla povertà, l’emarginazione e il futuro del nostro modello di sviluppo sociale proponendo al gruppo di “comprare una città”, farla diventare patria per loro e per gli emarginati, definire nuove regole di convivenza, fare in modo che in essa non vi fosse mai più emarginazione. Un collega, anche lui poco più che ventenne, le ha prontamente risposto che non funzionerebbe mai; un gioco elettronico interattivo ci ha provato nella realtà virtuale, e in poco tempo hanno dovuto chiuderlo perché la città era divenuta anarchica, violenta, ingovernabile, foriera di problemi più grandi di quelli che ambiva a risolvere. “E’ la storia di tutte le dittature, nascono con buoni propositi, muoiono nel sangue” ha concluso. Giusto perché i ventenni sono disimpegnati, egoisti, ignoranti e non hanno opinioni loro, dice qualcuno…Mi ha colpito non poco la cosa, e mi ha fatto ripensare in un colpo a fio.PSD, a Paolo come suo presidente, alle sue e nostre utopie, alla quotidianità dei percorsi di accompagnamento e delle relazioni di aiuto con le persone senza dimora.
Forse è un bene che in dieci anni non sia mai neppure lontanamente riuscito a fare di fio.PSD un’isola; anzi, è certamente un bene, come lo è il fatto che sempre di più in questi anni la Federazione abbia accentuato la sua dimensione di lobbying ed advocacy su progetti e approcci specifici, collocandosi come attore partenariale per le istituzioni tra i più capaci e competenti su questo tema. Il nostro tempo contiene sfide certamente epocali. Ci sono scelte sul modello di sviluppo che intendiamo intraprendere che le transizioni sociali, internazionali, produttive e tecnologiche in corso impongono in questo spazio generazionale, né più né meno di quanto accadde ai tempi delle precedenti rivoluzioni industriali europee.
fio.PSD è certamente un attore di queste sfide e non può non fare la sua parte. La sua parte però è al tempo stesso quella di un attore di sistema e di un educatore collettivo che può generativamente aiutare il sistema ad andare oltre se stesso in modo non distruttivo. Rientra nella prima parte del compito quello di non inseguire derive utopiche e modelli ideologici ma continuare a lavorare sul problema che la grave emarginazione comporta, essenzialmente un conflitto irrisolto tra individuo e società, proponendo modelli, metodi e misure per fronteggiarlo. Rientra nella seconda parte la capacità di essere connettore e abilitatore per le persone che ne fanno parte, senza dimora anzitutto ma anche operatori, volontari, professionisti vari, decisori politici e amministrativi, affinché il pensiero unico organizzativo tecno-nichilista non resti voce unica e prevalente nella formazione dei processi sociali.
Ogni operatore ha questo ruolo, e la fio.PSD può e deve esserne alimento culturale e organizzativo, affinché tale funzione si dispieghi. Sono funzioni diverse e complementari; nessuna delle due può mancare alla federazione affinché la sua natura ed il suo genius loci possano continuare a dispiegarsi. Non sono certo di avere contribuito a sufficienza con la mia presidenza affinché questo accadesse, ma di certo fio.PSD ha contribuito in modo essenziale perché ciò accadesse e continuasse ad accadere in me. Oggi non mi interessa più il governo di un’isola felice, ma più che mai mi appassionano i pensieri felici attraverso i quali noi, bimbi sperduti, possiamo ancora volare e far volare i nostri amici, liberando, anche laddove nessuno sembra disponibile a vederla, la bellezza che salva il mondo.
Questo è stata ed è la fio.PSD per me; questo le auguro di poter essere ad maiora!