Roberto – Storie di vite (12)

Ho conosciuto Roberto la prima volta su “zoom”, in una call tra il centro diurno L’Angolo (servizio a bassa soglia), il Servizio Sociale di riferimento del Comune di Brescia, di Ospitaletto e il Centro Psico Sociale di Brescia. Era l’ottobre 2020, in piena emergenza sanitaria per il covid

Qualche mese prima il Comune di Brescia aveva definito l’accordo con alcuni Enti del Terzo Settore della città per la realizzazione in via sperimentale del servizio Housing First, a favore di persone in condizione di grave marginalità e senza dimora del territorio. Tale accordo prevede la messa a disposizione di 7 alloggi siti nel Comune di Brescia per altrettante persone senza dimora con alle spalle percorsi di inserimento fallimentari e il relativo accompagnamento educativo secondo il modello dell’Housing First

Quando lo incontro, Roberto ha 51 anni di cui 20 trascorsi in strada. Mi racconta che con il padre aveva una ditta di assemblaggio e riparazione di piccoli elettrodomestici in provincia di Brescia. Negli anni ha manifestato disturbi psichiatrici che sono progressivamente peggiorati, non aderendo alla cura farmacologica e facendo, invece, uso di sostanze. La famiglia ha cercato di aiutarlo come poteva. Si è sposato e ha avuto un figlio ma quando il padre è morto e la moglie ha chiesto la separazione, Roberto ha deciso a trent’anni di lasciare tutto e partire per Roma: biglietto di sola andata. Ha vissuto in albergo fino a quando sono finiti i soldi e poi ha cominciato a dormire per strada. Ha girato diverse città del sud e del nord d’Italia, ogni tanto faceva qualche lavoretto ma non ha mai accettato accoglienze abitative come il dormitorio: preferiva case abbandonate o i portici delle chiese. Accettava solo di andare ai servizi diurni per la bassa soglia per fare la doccia o mangiare un pasto caldo. A volte la malattia psichiatrica unita alla droga faceva brutti scherzi e lui si trovava a delirare e minacciare i passanti in strada, veniva così ricoverato in psichiatria qualche settimana a seguito di un TSO per, poi, uscire e ritrovarsi di nuovo in strada con alcune imputazioni in più. L’unico rimpianto rimasto per essersene andato via da casa era quello di aver perso i contatti col figlio

A un certo punto, però, Roberto non ce la fa più a vivere in strada e chiede aiuto agli operatori del centro diurno che lo segnalano al progetto Housing first. E così, in poco tempo, mi ritrovo ad accompagnarlo nell’appartamento del progetto dopo aver raccolto le sue poche cose davanti alla chiesa. Quando gli consegno le chiavi, Roberto non sa se piangere o ridere e allora fa entrambe le cose. E io sento di fare il lavoro più bello del mondo

Roberto, a piccoli passi, comincia a fidarsi e con l’aiuto dell’equipe HF e della rete che lo segue (assistenti sociali e psichiatra), riprende in mano alcuni aspetti della sua vita: accetta di farsi seguire dal servizio psichiatrico e assume la terapia, ottiene l’invalidità e la pensione, consulta un legale per alcune imputazioni che cadono in prescrizione, va dall’oculista e compra finalmente un paio di occhiali, un cellulare e partecipa al bando Aler per le case popolari. La gestione economica non è il suo forte e le sue priorità non sono molto condivisibili. Ha un periodo di ricaduta nella droga che coincide con l’assegnazione di una casa Aler; è angosciato e ha paura di mandare tutto all’aria, di fallire anche questa volta come è avvenuto per il suo matrimonio e la vita che aveva prima, tanto che mi dice: “Piuttosto scelgo la strada come in passato”. Faticosamente accetta un compromesso: provare a vivere per tre mesi nella casa Aler assegnata e poi vedrà… tanto è sempre possibile tornare in strada. E così, dopo neanche un anno e mezzo nell’housing first, si trasferisce nella casa Aler del suo paese

A metà aprile sono scaduti i tre mesi. Roberto è ancora in quella casa, sta bene ed è un successo

 

Grazie a Isabella, educatrice per equipe Housing First (Coop. La Rete), Brescia, per il racconto di questa storia