Gianna – Storie di vite (8)

Dietro uno scatto

Grazie, Grazie non ho parole per ringraziare. Dopo tanti anni, posso dire che anche io di avere un po’ di felicità, nonostante la malattia

Questo scrive Gianna (nome di fantasia) qualche giorno prima di morire in un hospice presso l’associazione Antea a Roma. Nella foto la baracca dove viveva e la semplicità di un luogo dignitoso e idoneo dove trascorrere gli ultimi giorni di vita. Dietro lo scatto la storia di una prossimità necessaria e responsabile

Gianna lascia la Romania nel 2006 e arriva a Roma, in cerca di lavoro. Ha 35 anni è volenterosa e nell’arco di due mesi trova una sistemazione ed un lavoro. Poco dopo la raggiungono il marito e il figlio

Il marito si rivela dipendente dall’alcool e violento

Dopo appena un anno Gianna capisce che in quelle condizioni non può crescere suo figlio. Accompagna il bambino nel suo paese e lo affida alla cognata. Ci rimarrà fino ai diciotto anni, poi partirà alla ricerca di lavoro in un altro paese europeo

Lei, nel frattempo, trova la forza di separarsi

Un lavoro come badante, che comprende il vitto e l’alloggio, permette di risolvere il bisogno di casa e accoglienza

Muore la persona assistita e per diverse circostanze infauste Gianna non trova altre opportunità di lavoro. Scadono i documenti per il suo soggiorno regolare e si ritrova nell’arco di pochi mesi ad alloggiare in una baracca senza luce, acqua né servizi igienici

Un malore la spinge in pronto soccorso e qui scopre di avere un carcinoma della cervice uterina, non operabile

La risposta sanitaria è immediata: radioterapia, chemioterapia e dispositivi dedicati per trattare la patologia… ma Gianna dovrebbe affrontare tutto questo in una baracca

Ne parla a suor Roberta. Da quando è finita in baracca chiede il suo aiuto per un po’ di cibo. Nonostante la premura e le proposte di aiuto non chiede altro ma con questa malattia addosso sente che non può farcela da sola

Suor Roberta si attiva, propone alla sua comunità (delle suore Francescane Angeline) di farsi carico dell’accompagnamento di Gianna. Le sorelle la incoraggiano e la sostengono

Telefonate, mail, colloqui serrati con i medici (in cui Roberta sfrutta la sua formazione come odontoiatra) e poco dopo la scoperta della Sala Operativa Sociale come risorsa per queste situazioni complesse

Nell’arco di pochi giorni – sull’onda di un bisogno sanitario urgente ed indifferibile – Gianna viene prima ospitata in un Centro di Accoglienza e poi, quando la sua situazione peggiora in modo inesorabile, in un hospice per malati terminali

Gianna muore a 51 anni dopo poco meno di 10 anni di vita in strada

La catena di solidarietà che si è stretta con la malattia le donerà anche un funerale ed una sepoltura, con i fondi messi a disposizione da due famiglie religiose che collaboreranno per l’occasione

Dietro la dignità recuperata, addirittura la felicità per una stanza col bagno tutta per lei, c’è:

  • la scelta personale di chi non si sottrae alla domanda di aiuto e si mobilita per accompagnare Gianna nei suoi ultimi giorni di vita;
  • una rete che si è attivata grazie ad una persona, in questo caso una religiosa, che intenzionalmente non si sottrae alla possibilità di stravolgere il suo tempo e il suo lavoro per ospitare una donna gravemente emarginata;
  • la concretezza di una presa in carico complessiva, che ha accolto Gianna nei suoi inscindibili bisogni sociali e sanitari oltre che sostenerla con una prossimità capace di immediatezza ed umanità;
  • un sistema sanitario di altissimo livello che senza la mediazione del sociale avrebbe prescritto una terapia domiciliare per il cancro … in una baracca;
  • e c’è una domanda di fondo: come sarebbe potuta cambiare questa storia se il bisogno urgente, inesauribile così profondamente umano di “casa” fosse stato intercettato prima?

 

Grazie suor Roberta per il racconto di questa storia