Adel – Storie di vite (17)

Voci dai margini: tutela della persona e protezione della vulnerabilità

Luglio, sole che batte verticale in una mattinata torrida in una piazza senza ombra del centro storico di Palermo. L’eco dei suoni di una Moto Ape di un venditore ambulante, che dal megafono scandisce “UOVA FRESCHE”, si diffonde lungo le strade deserte fatte ancora di ciottoli antichi. Un uomo dai lineamenti marcati, voce densa e gentile, si intravede chiudere dolcemente la portiera di un’autovettura bianca con dentro un giovane vestito con abiti eleganti per poi guardarlo attentamente sparire lungo la strada, sino alla prima svolta a sinistra. Colgo insieme preoccupazione, protezione e cura che lui tende a velare. Lo seguo con lo sguardo, si ferma in strada, spazio aperto, protetto da occhi indiscreti, tira fuori dal taschino della camicia un bigliettino da visita, quello della fio.PSD (Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora) con sul retro scritto a matita “Appuntamento ore 12”. Attende me, è lui!

Lo lascio rientrare in vicolo San Carlo n. 2, presso la sede della cooperativa La Panormitana, braccio operativo di Caritas, all’interno del Polo diurno e notturno presso il quale vive e resto ancora fuori qualche minuto.

Lo ritroverò seduto al pc, nella sala di ingresso della struttura: Adel Laid, classe 1963, nato in Tunisia e da tre mesi ospite della struttura San Carlo, pensata per accogliere persone che si ritrovano in una situazione di estrema marginalità.

Risponde al telefono ‘Pronto’ e, si sente in vivavoce, una voce femminile sottile e preoccupata “Pronto”; dopo attimi la conversazione prosegue in francese: “Merci beaucoup, j’ai besoin de toute urgence de votre aide, est-ce gratuit?” “Ést gratuit” risponde immediatamente dall’altra parte della cornetta.

Ci presentiamo e, con aria sommessa, mi dice subito che parla 5 lingue e che da sempre è un attivista a tutela dei diritti umani. In sala ci sono anche altre e altri ospiti della struttura che discutono di Ezio Gualeni, chiamandolo per nome e cognome, il senza dimora trovato morto qualche mattina prima a Brescia, nella zona intorno alla Camera di commercio. A trovarlo, dicono, sugli scalini di un palazzo di via Benedetto Croce, sono stati alcuni residenti che hanno chiamato i soccorsi.

Le voci, nel salone, hanno mille tonalità: c’è quella drammatica, di una signora con disabilità psichica, che ha bisogno di confrontarsi con un esperto; c’è quella sommessa, di un uomo che parla sottovoce, per far sentire solo la sua stanchezza; c’è quella flebile, della signora anziana sola, senza familiari o amici, che nessuno cerca; c’è quella delusa, di chi non viene più cercato dagli ex colleghi di lavoro né dagli amici.

Le voci arrivano tutte quante dal chiuso di quel salone, dove si svelano solitudini, sofferenze ed ansie che viaggiano più attraverso gli sguardi che le parole.

Le voci, raccontano i volontari, sono storie di solitudine, che alle volte portano rabbia, altre rassegnazione; a volte sono storie di angoscia, per la difficoltà dell’aver vissuto troppo tempo in strada, spesso ammalati o anziani, oppure raccontano le difficoltà economiche sopraggiunte con la crisi.

Invito Adel a spostarci, in una stanza meno affollata e con l’aria condizionata, e lì incontriamo Claudia, l’operatrice alla quale viene subito raccontata la storia della ragazza sentita al telefono pochi minuti prima e, senza batter ciglio, quest’ultima fornisce indicazioni, numeri di emergenza, spiega il funzionamento dei servizi sociali, delle casa famiglie, mostra il ventaglio di opportunità che il territorio palermitano mette a disposizione in quei casi e chiede ad Adel di informare subito la signora che più tardi potrà parlare con gli operatori specializzati allo sportello.

Cominciamo.

 

Ciao Adel, raccontami un po’ di te.

Io sono un cittadino che, dalle mie esperienze, cerco sempre di rifarmi. Le cadute ti fanno diventare più forte, l’importante è sapersi rialzare e non mollare mai nella vita, perché io al contrario di quelli che cadono nel dominio della disperazione ho deciso di reagire perché dico sempre che le cadute ci permettono di imparare, l’importante è imparare a non cadere di nuovo nello stesso motivo della caduta. Sono qui in Italia perché in Tunisia non ho trovato il mio spazio di libertà. Ero parte di una famiglia modesta, significa che la povertà per noi non era una vergogna, mio padre combatteva per nutrire sei figli. Io sono stato l’unico tra i miei fratelli che ha potuto continuare gli studi, fino all’università. Quando ti fanno studiare diritti, poi vedi che i diritti sono calpestati. Vedere tuo padre che fatica ma non riceve niente…ho cominciato a criticare. Fino a quell’epoca c’era un regime molto duro, che non ti dà spazio. Ci hanno disturbati a casa, ci hanno fatto di tutto perciò lui stesso mi ha dato la sua pensione, ho fatto il primo biglietto che era la nave che si fermava Trapani. Ho dovuto lasciare il mio paese con l’amaro in bocca perché ho voluto combattere ma non c’è spazio perché o stai zitto o sei morto.

Sei stato un dissidente?

La vita è un dono di Dio, perciò bisogna anche essere intelligenti, salvarsi la vita e criticare da oltre le frontiere il mio paese. Arrivato in Italia, per una settimana ho vagato nella stazione di Palermo perché non avevo alloggio e avevo poche risorse. Un giorno mi sono recato a Piazza San Francesco dove mi hanno offerto un panino alla mensa. Lì mi ha adottato un prete della chiesa e così ho imparato la lingua italiana e ho cominciato a lavorare prima come fattorino, poi come cameriere e, infine, come cuoco. Gestisco una piattaforma su youtube, sono un creatore di video anche su Tik Tok, ho attivi quattro canali. Ho pensato che se una città ti apre la porta, devi essere allora attivo e un propositivo per aiutare la città, visto che chi ha più studi ha più possibilità di dare una mano a livello culturale. La mia famiglia di origine non è chiusa, ma la disciplina è importante e, così, quando mia madre ha scoperto che stavo convivendo con una ragazza a Palermo ha organizzato il mio matrimonio in Tunisia. In due anni mi sono trovato sposato con una donna tunisina che si è trasferita a vivere a Palermo e abbiamo cominciato a fare figli. Mia moglie ha avuto i figli uno dietro l’altro, quattro figli. La mia sfortuna è stata quando ci siamo trasferiti vicino alla Svizzera per lavoro. La finestra dell’albergo dove lavoravo e vivevo, era sul piazzale delle feste. E in questo locale la sera si faceva tipo cabaret, era un locale libero, un locale di censure. Mia moglie vede queste cose, ma io ero lì solo per lavoro, non mi interessava quello che facevano. È cominciata diciamo la discussione. Così siamo tornati a Palermo. Per rifarmi di nuovo la casa, rifarmi di nuovo un lavoro ho impiegato sei mesi. In questo periodo mi sono innamorato di Palermo e ho cominciato nel mondo delle associazioni. Ho pensato allora che io per fare arrivare la mia voce dovevo scendere in campo insieme alle associazioni.

A Palermo sei diventato un attivista?

Attivista, sì sì sì sì, in tutte le associazioni che si occupano di migranti. È andata così la mia vita, ringraziando Dio, seguendo le mie idee, i miei principi, i miei figli, in una maniera tale che, oggi, possono permettersi di comprare quel che desiderano. Se domani non possono permetterselo, va bene, significa che non si può più fare, siamo uniti nel bene e nel male. Dal 2009 sono diventato cittadino italiano. Perfetto, tutta questa prima parte della mia vita è andata benissimo.

La crisi è arrivata e ha causato anche la separazione per me e mia moglie, quando ho perso il lavoro. Io purtroppo prima ero un uomo di mondo. Avevo i soldi, un lavoro, scendevo due volte l’anno al mio paese, cambiavo macchina quando volevo, sempre di seconda mano. Ho perso il lavoro, pensavo che fra un mese o due mesi lo avrei trovato. Quando la volontà di Dio ti mette alla prova…, e la prova è stata dura, quasi un anno e otto mesi senza lavorare, non ho avuto più denaro per la sopravvivenza. Sono andato in depressione, con la barba lunghissima. Abitavo in quell’epoca vicino a Santa Chiara, c’era l’affitto da pagare, le bollette, le pressioni, la disperazione. Fumavo sigarette, mi rivolgo al mio amore, mia moglie nel frattempo aveva cominciato a lavorare come signora delle pulizie. Lei non aveva mai lavorato perché dissi che mi sarei occupato io dei soldi e lei si sarebbe dovuta dedicare all’educazione dei figli, per avere i figli educati e ben vestiti. I miei figli, infatti, sono educati e ben sistemati. I miei figli sono tutti studenti. La situazione diventa insostenibile e comincia la crisi del mio matrimonio. Non è facile trovare il lavoro. Io ho tentato, ma, purtroppo, questa è la prova del Signore che io devo subire, per vedere la mia pazienza sin dove arriva, devo passare la prova. C’è un nostro vicino di casa che mi conosce mi ha chiamato e mi ha detto che potevo lavorare per l’azienda Agrumaria Corleone, una delle più famose in Sicilia. Ho cominciato a lavorare in questa azienda che è una azienda molto seria e, che Dio lo dica, lavoravo bene. E la mia vita ha cominciato a ribaltarsi, la disperazione di prima era finita, ho pagato i miei debiti ma era rimasta aperta la ferita con mia moglie. Sono stato separato in casa per tanti anni, dormivo nel mio letto, una stanza a parte, ma mi sono sempre occupato dei miei figli, la mia figura è importante per loro. Poi è arrivato il Covid e sono stato licenziato. Quando si sono diplomati e hanno così fatto la loro strada ho deciso di lasciare la casa, li ho chiamati tutti, io ho lasciato la casa tre mesi fa. Dopo avere passato una settimana nella mia macchina, che era una macchina grande, mi ha visto la Caritas di Santa Chiara, perché mi conoscono tutti. In un giorno si sono impegnati a trovare una sistemazione, hanno detto che una persona non deve stare in strada, è un attivista, non merita di stare in strada e mi hanno fatto entrare alla casa San Carlo.

Quali sono gli elementi positivi e quali quelli negativi di questa fase del San Carlo?

Elementi positivi. Sì, io quando sono entrato in questa struttura, già il primo elemento fondamentale positivo è che tu hai un tetto, sei protetto, non sei in mezzo ad una strada. Il secondo è che hai del cibo, un dono del Signore. E questi sono i segni del Buon Signore che abbiamo un tetto, un cibo caldo e una doccia per lavarsi. Questo è fondamentale in questa fase, perché sono cose importanti nella vita, poi credimi, col passare dei giorni si vedono i punti negativi: quello che non si cambia è quello che è scritto nei libri sacri, come la Bibbia, il Corano, che sono scritti da Dio ma tutto quello che è scritto dall’uomo è cambiabile. Si discute per migliorare, come avere una buona connessione internet in questa casa per allenare la mente, a leggere e informarsi.

Io comunico soltanto con i miei figli, ho finito di parlare con la moglie, ma i figli sono figli. Io li seguo perché il momento è un po’ difficile per tutti. Io partecipo come associazione al dialogo fra le religioni per proteggere i giovani dal fanatismo di quelli che cercano di informare con idee sbagliate sulle religioni. Perciò anche noi, come associazione fra cristiani, ebrei e musulmani, tentiamo di proteggere questi ragazzi e dire loro che Dio è unico, è un Dio d’amore. Ciascuno è libero di credere a quello che desidera ma non c’è nessun Dio che ordina di uccidere. Ho finito.

Qual è il tuo sogno?

Io ho un solo sogno, che mi lasci tornare più libero, di trovare una casa. Io sono un tipo che non voglio la pensione, voglio lavorare nell’ambito migratorio come mediatore linguistico per aiutare i giovani a sapere come integrarsi perché fare il cameriere non posso più farlo a questa età.

 

Il Centro San Carlo, braccio operativo della Caritas diocesiana di Palermo, polo diurno e notturno che accoglie le persone in una situazione di estrema marginalità.

Una palestra di formazione dall’organigramma volenteroso e complesso, una risorsa che intende mostrare un volto nuovo alla città fatto di solidarietà e di comunità.

Nei giorni in cui l’Italia è attanagliata da un caldo difficile da sostenere persino per chi ha una casa e sta in casa, c’è chi ‘bussa’ per formulare una propria concreta impellente domanda di aiuto, di sostegno, oltre a una doccia e al cibo. La vita, alle volte cruda nella sua realtà, irrompe con i suoi giochi di luce ed ombre, ci interpella, mettendoci in mora, pretendendo risposte, chiedendoci di allinearci a nuove esigenze e ci vuole pronti.

Emerge con chiarezza che la programmazione politica dovrebbe essere volta verso una logica di prevenzione, più che di cura delle emergenze al fine di evitare che un uomo muoia in strada per il troppo caldo o un altro si ritrovi senza un tetto dopo una separazione, come emerge dalle storie tracciate in queste poche righe. Bisogna attrezzarsi e ragionare a più livelli per accompagnare le persone a superare i momenti di forte fragilità.

Quella di Adel è la storia dell’incontro tra una domanda di tutela concreta reclamata on the street e l’esigenza, avvertita come imperiosa, di declinare risposte a questa domanda di tutela, presidiando il territorio, creando un “luogo” idoneo a fornire risposte empiriche, concrete, efficienti alla concretezza delle domande di vita espresse da quel tessuto sociale. Un luogo che non è ancora ‘casa’, ma che intende accompagnare le persone in tal senso, secondo il modello housing first, prima la casa.

Tale modello diviene, allora, l’output di un modo di intendere i diritti come laboratorio di promozione della dignità umana: l’intento è fornire risposte concrete, attivando meccanismi, agevolando sinergie, accendendo risorse di rete, alle domande concrete che bussano alla porta.

Teoria e pratica del diritto convergono, così, sintonizzate lungo una stessa lunghezza d’onda e la tutela della persona e la protezione della vulnerabilità ne sono le declinazioni focali.

 

Si ringrazia per questa storia Vincenzo D’Amico, il Centro San Carlo e La Panormitana