“Prima la casa: così aiutiamo in tutta l’Italia chi l’ha persa o è povero ad averne una”

Gli anni di crisi post 2008 hanno aumentato le situazioni di difficoltà nel nostro Paese. Dal 2014 è cominciata una nuova attività per aiutare gli indigenti. Ecco come funziona

Dare un alloggio a chi è ridotto in povertà e non basta più a se stesso. E’ la missione dell’housing first, nato nel secondo dopoguerra negli Usa e lì diffusosi a partire dagli anni Novanta. In Europa ha preso piede dal 2006 con il supporto del programma Progress. In Italia comprende le realtà che si sono raccolte nella fio.Psd, Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora. E dall’indagine nazionale svolta da Fio.Psd, Istat e Caritas esce la fotografia di un Paese, il nostro, uscito con le ossa rotte dalla crisi innescatasi nel 2008 che ha peggiorato condizioni critiche già esistenti. Questi i numeri, in estrema sintesi: sono 50.724 le persone senza dimora stimate in Italia a tutto il 2015. Vivono in povertà estrema, intesa come mancanza di un tetto e di beni materiali di base, unita ad una condizione di disagio personale complesso che comprende vare patologie. Il profilo medio dei poveri senza dimora è rappresentato per la maggior parte da uomini (85,7%), 4 su 10 sono italiani e altrettanti sono cronici cioè vivono in strada da più di 4 anni, più della metà sono immigrati da altri Paesi (Marocco, Tunisia, Albania, Romania), l’età media è di 44 anni e vivono prevalentemente nelle regioni del Nord (56%). Senza dimora non significa assistenzialismo: solo il 3% riceve sussidi da Comune e altri enti pubblici. Il 62% ha invece un reddito mensile proveniente da attività lavorativa (anche irregolare e saltuaria) con un guadagno medio mensile tra le 100 e le 499 euro, mentre il 30 % vive di espedienti e collette. Il 17% non ha alcuna fonte di reddito. Le donne sono il 14%, quasi sempre travolte dalla rottura delle relazioni familiari. Come interviene in questi casi Housing First? Lo abbiamo chiesto a Michele Ferraris, responsabile della comunicazione.

“La sperimentazione in Italia è cominciata nel 2014 e comprende una 54 realtà, la maggior parte delle quali sono private e investono nella ricerca e assegnazione di abitazioni. L’obiettivo è evitare il solito percorso ‘a gradini’, percui c’è il colloquio, poi l’intervento di un operatore sociale, poi la mensa e così via. Sono passaggi molto lunghi, che di solito non portano a una vera soluzione del disagio e faticano ad avere continuità. Con l’Housing First si parte dall’alloggio: avere un posto dove stare è fondamentale per aiutare una persona povera, con problemi psichici o di varia dipendenza, distrutta negli affetti e con rovesci economici determinati da perdita o fallimento nel lavoro, a ritrovare se stessa”.

Naturalmente questo percorso è monitorato.
“Certo, non potrebbe essere diversamente. Gli operatori e i Servizi Sociali seguono il percorso di recupero della persona con visite regolari. Impossibile dire a chiunque: hai la casa, ora smetti di bere, smetti di drogarti. Non sono cose che si ottengono in cinque minuti, esistono casi di persone che vivevano per strada e che hanno continuato a dormire per terra nell’alloggio che era stato trovato per loro. Lo hanno fatto per un periodo, fino ad un graduale cambiamento. Se sono in grado, possono dare un contributo per la casa, penso a chi ha una piccola pensione, un’invalidità civile, ma non esistono tariffari. Se non lo fanno, i costi sono comunque coperti per un primo periodo. Chiarisco subito: la filosofia dell’Housing First è che la casa è per sempre. Diverso è il discorso di riabilitazione sociale della persona, che varia da caso a caso sempre con l’obiettivo di renderla nuovamente autosufficiente. Gli studi del comitato scientifico che segue l’esito di questa sperimentazione in Italia dimostrano che i costi per lo Stato, con questo tipo di aiuto ai poveri, sono inferiori rispetto a quando una persona vive per strada. Pensiamo a chi viene arrestato o finisce al Pronto soccorso con le relative cure. Le strade stesse diventano più sicure per tutti”.

Chi trova le case?
“Le si trova in vari modi: Caritas e Diocesi hanno messo appartamenti a disposizione ma esistono cooperative e privati che le cercano nel libero mercato. Un punto fermo è che si concordi con la persona in quale zona vuole andare a vivere: è sperimentato che togliere uno dalla strada per mandarlo a vivere in un monolocale della periferia estrema, sradicandolo dal suo contesto, non funziona. E’ quanto accade con i grandi agglomerati delle case popolari. Lo Stato finora non partecipava al network Housing First. Con l’istituzione del Reddito di cittadinanza si aprono scenari di collaborazione con il governo. Ma è anche vero che i criteri stabilisti sono molto rigidi: dieci anni di cittadinanza italiana, di cui gli ultimi due continuativi. Poi è tutta da verificare la figura dei cosiddetti navigator, quelli che dovranno aiutare chi ha perso il lavoro e percepisce il Reddito, a ritrovarne uno. Non ultimo, bisogna considerare che una persona che è in grave difficoltà anche dal punto di vista della salute o di una dipendenza non può essere ricollocata in tempi stretti nel mondo del lavoro”.

Quante sono le case che finora mettete a disposizione di chi è in condizioni di indigenza?
“Sono 190. Il 70% reperite dal mercato privato, come già dicevo, il 14% da realtà attive a vario titolo nel sociale, il 16% di proprietà religiosa. Il 40% sono appartamenti adatti a famiglie. Il costo medio giornaliero per adulto è di circa 21 euro. Ma ripeto, parlo di costo che viene sostenuto per garantire il servizio, non di una tariffa”.

La politica si è accorta di questa sperimentazione in corso in Italia?
“Sì, il minstro Poletti la valutò positivamente e il governo Renzi decise di aiutare questo tipo di attività con un contributo di 100 milioni, di cui sono stati stanziati i primi 50. Ora il nostro nuovo interlocutore, successore di Poletti, è Di Maio, con cui ancora ancora non abbiamo avuto occasioni d’incontro. Abbiamo però partecipato alle audizioni in Senato in vista del varo del Reddito di cittadinanza. Nel mentre in tutte le regioni stanno partendo progetti di Housing First, i dettagli e le informazioni si trovano nel nostro sito”.

Che deve fare una persona caduta in una situazione di povertà per chiedere l’aiuto di Housing First?
“Chi vive un disagio grave deve rivolgersi ai Servizi sociali, il primo passo è sempre quello. Noi siamo già in contatto con quei servizi comunali e ci muoviamo sul territorio per capire dove e come intervenire. Altre informazioni e tutti i numeri utili si trovano sul nostro sito“.