La fio.PSD dalla 328 in poi

di Beatrice Valentini

Presidente fio.PSD 2000-2002

Ho accolto con piacere la proposta di ricostruire un po’ della storia di fio.PSD  a partire dai ricordi degli ex presidenti.

La fio.PSD dal momento della sua fondazione,  è stata parte significativa della mia storia professionale e personale e ricordo con piacere discussioni e volti, ma soprattutto avevo immaginato che scrivere della fio.PSD,  sarebbe stata l’occasione per riaprire vecchi faldoni che avevo lasciato in ufficio quando, ormai due anni fa, sono andata in pensione.

Purtroppo in ufficio non c’è più nulla; chissà quale assurdo pensiero mi aveva convinto a lasciare documenti, scritti, riviste  che io ritenevo “interessantissime”  quasi fossero un dono a chi sarebbe venuto dopo di me . Sciocca e presuntuosa, mi hanno detto che da mesi è finito tutto in un famoso magazzino comunale che è, in realtà, la discarica dei documenti che nessuno potrà più consultare.

E’ comunque stata un’interessante lezione; per altro anche la fio.PSD non è più quella di allora; abbiamo bisogno di futuro non di passato.

Per raccontarvi degli anni della mia presidenza non posso che affidarmi alla memoria .

Del mio periodo di vicepresidente – quando era presidente Alberto Remondini – ricordo con orgoglio l’incontro a Roma con il Ministro Livia Turco poco prima che finisse la stesura della L.328/2000 ; portavamo le nostre sollecitazioni al problema delle persone senza dimora e la richiesta, non tanto sottesa ,di essere sostenuti economicamente.

Consegnammo poche righe scritte – che io dico a tutti fossero  il testo dell’art. 28 della legge – , e se non lo era gli assomigliava molto –  e l’impegno a svolgere una ricerca nazionale sui servizi per le persone senza dimora adeguatamente pagata dal Ministero.

A quel tempo avevamo un segretario molto efficiente – Aldo Musante –  e  già una buona rete di contatti; dopo qualche mese la ricerca era terminata ed il finanziamento incassato.

Più o meno in quel periodo diventai presidente della fio.PSD.

La legge di riordino del sistema dei servizi apriva, allora, nuovi scenari anche per i servizi della nostra Federazione e ci impegnammo molto a diffonderne la conoscenza e le opportunità.

Ai nostri soci, ma soprattutto alle amministrazioni locali, proponevamo dei corsi di formazione che vedessero  la partecipazione di pubblici dipendenti, di operatori delle cooperative e di volontari   che costituivano la rete che in quel territorio fronteggiava il problema della grave emarginazione.

Era nel frattempo stato pubblicato il Il “Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001/2003” che proponeva interventi per le persone senza dimora all’interno dell’obiettivo di contrasto alla povertà” e, soprattutto, in ogni territorio  erano iniziati i lavori per i Piani di Zona. Io, che ero anche un solerte funzionario pubblico, ci credevo davvero e credevo necessario che i nostri soci sapessero quale nuovo ruolo avrebbe giocato il Terzo Settore nella programmazione dei servizi, come fosse opportuno fare riferimento all’art. 3 della legge 328 per pretendere di essere ascoltati dal pubblico e di negoziare una sorta di co-progettazione degli interventi.

Il Piano Nazionale diceva anche che ogni livello sub territoriale doveva prevedere almeno un servizio di bassa soglia e almeno un servizio di seconda accoglienza e di accompagnamento nonché che  si dovevano avviare iniziative di collaborazione tra servizi sanitari, servizi sociali, servizi del lavoro con l’obiettivo di riavvicinare la persona in condizioni di grave marginalità sociale all’utilizzo dei servizi per la generalità dei cittadini.

Mi sembrano cose che sono state riprese anche nelle più recenti linee guida redatte dalla Federazione.

Anche di queste cose parlavamo nei corsi tra operatori pubblici ed operatori privati e in alcuni casi – ricordo Padova e Mantova oltre che Brescia – scrivevamo, insieme, pezzi da inserire nel Piano di Zona.

Ovviamente i corsi dovevano consentirci di finanziare l’esistenza della segreteria così come alcuni progetti che avevamo proposto e realizzato per le Regioni – ricordo di Liguria e Lombardia – ormai titolari della legislazione socio-assistenziale dopo la riforma del titolo quinto della Costituzione.

Un’altra costante del lavoro in fio.PSD era il rapporto con le Università; qualche “accademico” era interessato al nostro lavoro,  ricordo Negri e Antonella Meo dell’Università di Torino, Bergamaschi di  Bologna, Tosi di Milano, l’amico Gui dell’università di Trieste,  ma soprattutto noi credevamo necessario portare le nostre  riflessioni, le nostre sperimentazioni perché teorie e prassi fossero reciprocamente influenzate. Chissà se ci siamo riusciti.

Il mio lavoro nei Servizi Sociali del Comune mi consentiva, inoltre, di leggere, nei percorsi di vita delle persone che frequentavano i servizi per l’emarginazione grave, quali e quanti altri contatti avevano avuto con i servizi specialistici e non solo e dove la prevista  “protezione sociale” si era interrotta e perché.

Il servizio per l’emarginazione grave diventava quindi parte del servizio per il disagio adulto e gli interventi per casa e lavoro ( alloggi protetti, attività occupazionali, ma anche contributi o sostegni educativi  ecc.) diventavano prevenzione del disagio più grave e dell’emarginazione.

In fondo ci siamo sempre detti, in fio.PSD, che i servizi per le persone senza dimora sono, in molti casi, un utile osservatorio per individuare i limiti o i vuoti che lasciava il sistema dei servizi. Per questo ci era utile il riferimento al Piano Nazionale dei servizi e degli interenti sociali laddove prevedeva che  la  collaborazione tra servizi avesse  l’obiettivo di riavvicinare la persona in condizioni di grave marginalità sociale all’utilizzo dei servizi per la generalità dei cittadini.

In quegli anni si evidenziava, inoltre, la nuova e numerosa presenza di persone straniere nei servizi per l’emarginazione con tutte le contraddizioni che ciò comportava; mense e dormitori erano teatro di scontri e per noi operatori era facile capire che se uguale era  la condizione di povertà estrema non era simile la condizione di marginalità.

In quegli anni erano poche le persone straniere in condizioni di emarginazione, erano certo marginali al nostro mondo, ma avevano un ruolo, spesso riconosciuto e rispettato, nel loro contesto ed avevano un progetto di vita che passava anche dai nostri dormitori, ma non finiva lì. Una condizione personale e psicologica molto diversa dai cosiddetti frequentatori abituali dei nostri servizi. Da qui studi e tentativi di offrire cose diverse a bisogni diversi.

Forse ora non è più così, ma credo sarebbe ancora un errore utilizzare, ad esempio, per i richiedenti asilo, gli strumenti e i metodi di interevento e protezione che si utilizzano nei casi di emarginazione grave.

Come vedete non mi sono ancora liberata dall’interesse per il sociale e continua ad affascinarmi analizzare il modo con cui gli esseri umani si organizzano e intrecciano i propri destini.